La ricerca della felicità
Nella vita, il successo è molto spesso un’eccezione piuttosto che il privilegio, quasi occasionale, di pochi.
Per un allenatore di calcio non sono solo le vittorie o i titoli ciò che gli permette di costruire degli affetti attorno a sè. Quello che invece contribuisce a costruire affetti è l’eredità emotiva che si lascia ad una comunità. Se questo è vero allora la figura di Marcelo Bielsa spiega meglio di chiunque altro di come si può vivere nella sconfitta [o nella vittoria occasionale], facendo però del fallimento la base più solida del proprio successo o del proprio lascito emotivo.
Sarebbe anche bello, citando Bielsa, riuscire ad evitare di chiamarlo con il suo soprannome (El Loco) che per quanto affettuoso è comunque un’etichetta che richiama un’accezione anche dispregiativa.
Se chiediamo a Google cosa sia la follia, ci dice che si tratta di un’azione sconsiderata, sciocca o irragionevole che una persona compie in modo incosciente o avventato. Ma onestamente Bielsa non sembra una persona avventata. Al contrario, ha un approccio molto metodico verso il gioco del calcio e di interpretare in generale la vita. Bielsa può essere definito loco se spieghiamo che la follia, per sua anomala natura, provoca sorpresa. Allora si, in questo caso l’accezione è corretta poiché Bielsa sfida sempre la capacità di meravigliare.
Questo è Marcelo Bielsa, uno che non ha mai anteposto i risultati alla propria volontà di insegnamento “Non permettete che il fallimento deteriori la vostra autostima. Con la vittoria il messaggio è molto confuso, stimola troppo l’amore verso sé stessi. Con la sconfitta accade il contrario. L’importante è la nobiltà del proprio lavoro, la dignità con cui si fa un cammino alla ricerca della propria meta”
L’importante è la felicità.
Bielsa ha conosciuto il fallimento soprattutto quando era alla guida della nazionale Argentina, probabilmente quella con il rooster più forte di sempre. Lo squadrone del 2002 ,favorito per il Mondiale in Corea, esce addirittura ai gironi.
A due minuti dalla vittoria della Coppa America del 2004 è il brasiliano Adriano insieme ad una maledetta serie di calci di rigore a matare l’Argentina sul più bello.
Ma contro ogni previsione, Bielsa, ha contrapposto a questi due enormi fallimenti una grande vittoria: la prima squadra argentina a diventare campione olimpica, addirittura imbattuta e senza subire gol ai giochi di Atene.
Il bielsismo è una corrente controculturale
Quando si parla di Bielsa le voci coincidono: non è solo un modo di vedere il calcio, ma la vita. La sua è una voce rara nel mondo dello sport e propone valori che, in generale, sembrano non coincidere con il trionfo; eppure, riesce a lasciare dietro di sé una grande eredità indimenticabile per chi ha potuto condividere il tempo ed il lavoro con lui.
Il Bielsismo è un modo di vedere la vita guardandola da un campo di gioco. Alcuni principi elementari della vita quotidiana sono infatti insiti nel calci di Bielsa: alzare la testa, giocare in gruppo, distribuire la palla, supportare un compagno, costruire per arrivare in porta e, ovviamente, la felicità di farlo. Tutti concetti validi in un campo di calcio come nella vita di ognuno di noi.
Bielsa è una boccata d’ossigeno puro in un mondo del calcio dove il marketing, le star, i campionati e le vittorie sono diventati un prodotto commerciale. L’impressione che sento dentro di me mentre parlo di Bielsa è che vedo in lui un modo per riconciliarmi con il mondo dello sport.
Bielsa schiera le sue squadre con lo stesso atteggiamento con cui noi comuni mortali ci approcciamo allo scorrere del nostro vivere quotidiano.
Non è un caso se El Loco è una di quelle figure che nel calcio moderno si è guadagnato un suo seguito di fan a prescindere dalla squadra in cui allena proprio come succede ai top player del calibro di Ronaldo o Messi.
Capita dunque che successo e felicità non per forza funzionino come sinonimi. Ci sono persone di successo che non sono felici e ci sono persone felici che non hanno bisogno di successo. L’unico obbligo che Bielsa si sente di avere non è tanto la vittoria quanto quello di sfruttare al meglio le sue scelte per portare felicità a se stesso ed agli altri.
L’Etica di Aristotele, come quella di tutti i filosofi greci, è basata sulla ricerca della felicità, che non si trova nella ricchezza o nel piacere, ma piuttosto nella vita teorica, nella coltivazione della ragione e quindi nel lavoro intellettuale. Mai nessuno ha somigliato tanto ad Aristotele quanto Bielsa nel suo cammino come allenatore.
Una concezione filosofica che mette in secondo piano il suo palmares fatto di soli tre titoli argentini e di un oro olimpico con la nazionale.
Il fatto che non abbia una sala di trofei pari alla sua fama o tale da sostenere quello che dicono di lui i suoi colleghi , rende ancora più mistica la sua figura in quanto non c’è nessun altro allenatore nel calcio attuale che abbia avuto la sua stessa influenza malgrado non abbia vinto praticamente nulla.
Eppure a Rosario, quelli del Newell’s gli hanno già dedicato il nome dello stadio benché sia ancora in vita.
Ho conosciuto la “Veronica” di Zidane e rimasto stregato dal Superclasico di Buenos Aires . Seguo più gli eventi sportivi da divano che quelli mondani da drink in mano.
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