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The Program – il film che racconta Lance Armstrong [visto da noi]

Rubrica: Il Sorpasso – ovvero film che raccontano storie di sportivi che osano
Autore: Memmo
Visibile – su Netflix

Prologo: l’identikit dell’atleta perfetto

Concentrazione e disciplina.
Concentrazione, disciplina e talento.
Concentrazione, disciplina, talento e doti umane.
Concentrazione, disciplina, talento, doti umane e forza fuori dal comune.
Prendete tutti questi elementi, uniteli insieme e avrete l’atleta perfetto.
Prendete tutti questi elementi, mescolateli, componeteli, scomponeteli, buttateli nel cesso e avrete Lance Armstrong.

Capitolo I:
da ladri di biciclette al ladro sulla bicicletta

La storia del povero Lance è stata ben descritta dal regista Stephen Frears (meglio conosciuto per “machecazzodifilmshamaifattoquestoqua”) che racconta, in modo asciutto, didascalico (da docufilm direbbe qualche scarso critico cinematografico), le vicissitudini sportive e umane dell’ultima vera carogna del ciclismo internazionale.

Il titolo del film è perfetto: The Program.
Chiara sintesi di quella che è stata la carriera più falsa degli ultimi decenni della storia sportiva.
Lance, infatti, annusando già dalla tenera età di non poter competere con i suoi più grandi avversari, programma quella che è la sua ascesa mondiale nel mondo della due ruote.
Come lo fa? Nel film non c’è alcuna voce narrante che ci spiega le sue reali intenzioni. Non c’è neanche il solito piccolo personaggio moralizzatore che, con il dito puntato, si vergogna della strada intrapresa da Armstrong di ladro “sulla bici”.

Niente di tutto questo.

Nel film vediamo soltanto il protagonista attuare un programma ben definito, fatto di EPO (e lo sa Dio di quale altra sostanza sparata in vena!), senza il minimo ripensamento; senza la minima sbavatura. Lance viene descritto come un calcolatore perfetto: segue il programma alla lettera, controlla con imperturbabile self-control la sua ascesa mediatica, ruba una manciata di tour de France e, nei momenti liberi, diventa il paladino della lotta al cancro, di cui lui stesso ha sofferto.

Fate attenzione, però, voi che andrete a vedere il film (sicuramente sull’account Netflix di un vostro cugino trasferitosi in Australia per lavoro), perché The program è inteso anche in senso lato: Lance, infatti, viene descritto come un calcolatore privo di anima, privo di alcuna riflessione morale ed etica su quanto lui stesso stia combinando. Che sia lui, in carne ed ossa, il vero “programma”?

Capitolo II – 6 giudizi tecnici al film -:
come non rispondere alla domanda del capitolo I e vivere comunque sereni

Ma chi se ne frega di Lance. Ogni riflessione, ogni indignazione al riguardo, è un torto che facciamo allo sportivo onesto che ha dovuto combattere (e il più delle volte perdere) con i propri limiti.

Limitiamoci allora a dare 6 giudizi tecnici al film, cercando di convivere, per quel che ci rimane, in serenità su questa terra con Armstrong:
I. È girato bene. Le riprese sono pulite e i campi e controcampi hanno un ritmo abbastanza sostenuto.
II. La fotografia non è delle migliori. L’impostazione da finto documentario ha scassato le palle dal 2008. Qualcuno continua ad usarla, perché probabilmente è rimasto sotto con Forrest Gump (cretini!).
III. La recitazione è da geroglifici egiziani. Con movimenti da mummie egiziane. Tutti imbalsamati. Qui la sola cosa che regna davvero sovrana è la lentezza con cui le battute vengono scambiate.
IV. Questo film ha anche dei pregi. Narra senza arzigogoli vari quello che è accaduto nel ciclismo internazionale all’inizio del nostro millennio. Punto. Senza alcuna morale di sorta.
V. Ah, è un film inglese come il suo regista. Quindi, tornando sulla fotografia, aspettatevi di vedere una luce grigio metallizzata come quella presente in tutti i film d’oltremanica.
VI. Le inquadrature non sono di grande respiro. Sembra un film a due puntate prodotto da Rai 1 per essere mandato in onda su Rai 1 (prima o seconda serata, fate voi).

Epilogo:
voto complessivo più bonus di un punto (+1) per essere un regista anziano e sconosciuto.

Si, è un film che va visto.
Nonostante il giudizio non proprio clemente, ha il pregio di essere schietto, diretto. Non mente allo spettatore e non mente neanche alla storia del ciclismo. Racconta la verità, come ogni forma artistica che si rispetti. Anche se la verità fa male. Non a Lance ovviamente, che grazie agli investimenti fatti su una azienda in piena crescita (UBER), continua ad essere ricco. Fa male a noi, che abbiamo creduto in uno sport duramente messo alla prova da gente senza alcuna dignità da difendere.

Voto 3 (+1) = 4.

Attenzione, però, il massimo è 7 e non dieci, giusto per complicarvi le cose.
[Nota per le zappe in matematica: non ha raggiunto la sufficienza]

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