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Calcio

C’era una volta il Superdepor

C’era una volta una squadra invincibile. Un team colmo di fuoriclasse che dettava legge in tutta Europa, lasciando dietro di sé tracce di gioco dominante e timore reverenziale in egual misura. C’era una volta il Milan di Ancelotti. Prima che incontrasse il più inspiegabile incubo della sua epopea continentale: il Deportivo La Coruña di Irureta.

Il Deportivo La Coruña di Pandiani e Luque, Djalminha e Valerón, Víctor e Mauro Silva e di quel tecnico con un nome che ricorda da vicino un santuario spagnolo: Javier Iruretagoyena Amiano.Per tutti, semplicemente Irureta: regista e mente dietro una delle più grandi imprese che il calcio europeo ricordi.

Il Deportivo La Coruña è ormai una squadra che ha già dato il meglio di sé da qualche anno e che è riuscita a costruirsi una fama grazie a straordinarie prestazioni nello stadio di casa, il Riazor.Merito dell’orgoglioso e tambureggiante pubblico galiziano e di una squadra imprevedibile e ricca di talento, un team che in poche stagioni si è meritato sul campo l’eloquente appellativo di SuperDepor.

In Galizia, terra di confine e asprezze, anche il calcio è esercizio di sofferenza e passione. Da queste parti il gioco e la squadra rispecchiano una regione estrema, costantemente dimenticata in favore delle grandi metropoli dominanti in territorio iberico: Madrid e Barcellona. Una squadra sorprendente, nata per dimostrare che il calcio è manifestazione diretta di una comunità, di un orgoglio popolare. Quello dei galiziani e dei loro Blanquiazules.

Una storia di provincia che inizia negli anni ’90 per terminare all’apice, nella serata più folle e memorabile del calcio galiziano: 7 aprile 2004. Il canto del cigno del Deportivo. Un arrivederci ai grandi palcoscenici internazionali con una prestazione che rimarrà nella storia del gioco. Un monumentale 4-0 al Milan campione d’Europa.

Nessuno mai avrebbe scommesso , su un crollo dei vice campioni europei, o forse meglio dire, su quella che fu una prestazione impeccabile da parte dei galiziani. Non una partita qualsiasi, bensi una di quelle che va oltre la dimensione del calcio giocato per scrivere una pagina di racconto che per certi tratti sconfina nel mito narrativo di Davide contro Golia.

In Galizia s’impara fin da subito a convivere con una terra sferzata da venti gelidi, mari agitati e lunghi silenzi affacciati sull’Atlantico. Vivendo un passo alla volta, non facendosi mai travolgere dalle correnti. Una filosofia di vita che, ormai da anni, trova la sua ideale applicazione al Riazor.

E Irureta è il timoniere perfetto per manovrare un team così estremo. Un allenatore esperto, che modella la sua creatura su un’impronta ben definita: il Deportivo è una struttura uniforme, un’entità tattica che vive su un 4-2-3-1 elastico.

In rampa di lancio va un terminale offensivo dal soprannome illuminante, El Rifle. La carabina. Il fucile di precisione arriva dall’Uruguay e si chiama Walter Pandiani. È l’artillero perfetto per il meccanismo di Irureta, che lo circonda di una batteria di mezzepunte e ali che sfornano assist ad alta intensità di gioco: Valerón, Víctor e Luque, senza scordare quell’incredibile giocoliere part-time che risponde al nome di Djalminha, la versione baffuta e speculare di Denilson .

Sono soprattutto loro gli uomini del miracolo del Riazor. Un quartetto che suona uno spartito ripetitivo e adrenalinico. Quella sera le maglie bianco-blu sbucano da ogni angolo, come impossessate da un furore agonistico quasi inspiegabile. Anche perché, dopo il 4-1 in scioltezza di San Siro, il Milan si aspetta una notte di controllo e pura formalità per accedere alle semifinali. Ma quella partita è un vero massacro.

È il mercoledì da leoni di La Coruña. Il pubblico ci crede fin dall’inizio, spingendo il Depor con una bolgia assordante, un frastuono stordente. Irureta, dopo il fragoroso schianto dell’andata, sembra meno convinto di quella che appare più come un’utopia che una speranza:

“Se in qualche modo riusciremo a rimontare contro il Milan, mi farò il cammino di Santiago a piedi.”

Quel 7 aprile l’ottovolante galiziano viaggia su ritmi forsennati, tanto che lo stesso Pirlo qualche anno dopo getterà (vaghe) ombre di doping in un’intervista rilasciata ai media italiani riguardo quella sconfitta.

“Non sono in possesso di prove, per cui la mia non è un’accusa, mai mi permetterei di formularla. Semplicemente è un pensiero cattivo che mi sono concesso, però per la prima e unica volta nella vita mi è venuto il dubbio che qualcuno sul mio stesso campo potesse essersi dopato. Forse è solo la rabbia di un momento non ancora riassorbita. Ma i calciatori del Deportivo erano scheggie impazzite, assatanati. Galoppavano verso un traguardo che solo loro intuivano.”

Pandiani , dopo l’illusorio gol d’apertura nel match d’andata ,replica con una girata mancina dal limite, facendosi beffe di un certo Paolo Maldini. È il 5° minuto ed è 1-0: da qui inizia il cammino del Diavolo verso i gironi dell’Inferno.

Víctor è una scheggia imprendibile sulla destra; Valerón fa intuire perché in Galizia i tifosi lo chiamino El Dios, disegnando calcio sulla trequarti con la scioltezza e la padronanza tecnica di un fuoriclasse; Luque è una sorta di rullo compressore che schiaccia costantemente Cafù, ridicolizzandolo in più occasioni.

Il 2-0 è inevitabile ed è figlio di un’uscita sciagurata di Dida. Nelson ha abituato il pubblico a bizzarri black-out psicologici e stavolta la combina grossa sul cross di Luque, appoggiato docilmente in rete dal fantasista gallego. Il Riazor ribolle e sente vicina quell’impresa “che solo loro intuivano.” Il 3-0 che garantirebbe le semifinali è mera questione di tempo.

E arriva nel momento peggiore per i rossoneri: al 45°, ad un soffio dal riposo. Luque se ne va sulla fascia sinistra bruciando Cafù e scaricando un mancino terrificante che fa saltare definitivamente il banco. Il resto della partita è uno spettacolo fatto di ritmo altissimo (da una parte) e giocate improvvise che chiamano all’azione offensiva quasi tutti i calciatori galiziani. Il definitivo 4-0 lo mette a referto il subentrato Fran, vecchia ala destra simbolo della cantera gallega. Entrano Serginho, Rui Costa e Inzaghi, ma è tutto inutile. Una cappa d’incredulità e disarmo avvolge il campo, mentre gli spalti del Riazor furoreggiano e vorrebbero che quella partita non finisse mai.Risultati immagini per deportivo vs milan

Il Depor è tornato Super, anzi, qualcosa di più. Stavolta è andato oltre, scrivendo la storia del calcio e delle rimonte impossibili. Quella di una piccola città di pescatori che trionfa su una metropoli pluri-milionaria del calcio europeo. Sarà anche l’ultima vera esibizione di livello internazionale all’interno di quello stadio caloroso ; in semifinale i Blanquiazules verranno spediti fuori da un Porto arcigno ed equilibratissimo, con uno 0-1 che li condannerà proprio al Riazor.

E saranno proprio i Dragoes ad aprire un’altra stagione di sorprese continentali sull’Atlantico, soltanto pochi chilometri più a sud. La nascita di una nuova epoca , quella di José Mourinho e il suo calcio straordinariamente pragmatico.

Un passaggio di consegne che vedrà il Deportivo sparire progressivamente dal palcoscenico più prestigioso, arrivando addirittura a retrocedere in Segunda Division pochi anni dopo. Una meteora. Un tornado che ha lasciato il segno spegnendosi lentamente al largo.

Oggi le luci del Riazor sono spente il mercoledì sera. Il Deportivo suda in fondo alla Liga per non retrocedere per l’ennesima volta. La grande onda è ormai passata, ma forse nessuno mai l’ha cavalcata come il SuperDepor.

Articolo originale pubblicato su Coriandoli Nostalgici

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