VEDI NAPOLI E POI MUORI
“Della posizione della città e delle sue meraviglie tanto spesso descritte e decantate, non farò motto: «Vedi Napoli e poi muori!» dicono qui. “
è la nota frase estratta dal saggio –Viaggio in Italia – del poeta tedesco Goethe.
Contrariamente a quanto universalmente riconosciuto, questa espressione sembrerebbe non essere un’esclusiva dello scrittore, ma piuttosto riconducibile ad una storia popolare napoletana che tramanda di generazione in generazione la storia di Raziella, una strega dall’animo buono.
Si narra che Napoli, grazie alle sue bellezze, riuscisse ad allietare le pene d’amore facendo dimenticare la sofferenza per tutto il tempo che si trascorreva all’ombra del Vesuvio, mentre diventava molto doloroso il momento della partenza, quando riaffiorava il mal d’amore che nel peggiore dei casi portava addirittura alla morte.
Raziella decise così di impiegare per i forestieri malati d’amore un vino magico, in grado di far dimenticare la sofferenza e chi si era stati prima di vedere Napoli e far ripartire i ricordi proprio dalla Città del Golfo appena visitata.
COSA C’ENTRA MARADONA CON LA LEGGENDA DI RAZIELLA
C’è molta affinità tra la mitologia di Raziella e l’arrivo di Maradona, perché proprio come vuole la leggenda, Maradona fugge a Napoli per curare le sue sofferenze dopo la fine della sua storia d’amore con il Barcellona.
In Spagna veniva da due stagioni condizionate da un grave infortunio alla caviglia che ne aveva limitato il potenziale e culminate con lo sgradevole episodio dell’aggressione al giocatore dell’Athletic Bilbao nella finale di Copa del Rey nella primavera dell’84, che gli costò tre mesi di squalifica.
Ma non è tutto: successivamente Maradona, in coincidenza con la fine dell’esperienza napoletana, ha smesso di essere un genio del calcio come se avesse subito gli effetti di quel vino donato da Raziella, dimenticando ciò che con i piedi ha saputo fare fino ad allora e nella vita precedente.
L’AMORE CONTA
Quella di Diego a Napoli è l’inizio di una delle storie d’amore più belle tra un popolo ed il suo condottiero.
Era nel suo destino che dovesse diventare il “Dio del Calcio” passando dalla strada più difficile, ovvero non attraverso le scontate vittorie di uno storico e ricco club come il Barcellona, bensì facendo diventare grande un piccolo Club, che fino al momento del suo arrivo aveva forse vinto qualche coppa minore diventata ormai un lontano e sbiadito ricordo tra i tifosi più anziani.
Ancor prima di rendere la squadra grandiosa e di portare con orgoglio in alto il nome della città in tutta Italia e persino in Europa, Maradona era già venerato dall’appassionata popolazione della città più argentina tra le italiane.
Napoli si era già inchinata al suo nuovo idolo: i vicoli stretti e umidi, così tipicamente mediterranei, cominciarono ad accogliere un’iconografia popolare sotto forma di graffiti e murales dedicati al genio argentino, in un’eterna consacrazione alla figura del grande capitano.
I tifosi del Napoli videro immediatamente in Diego uno di loro: le sue umili origini, la sua forte autostima, il carisma e la rabbia di arrivare con la squadra ai più alti livelli erano atteggiamenti del popolo!
Modi di essere che rompevano con lo stile delle ricche società di Torino, Milano o Roma ed ancora di più il sentimento del napoletano si identificava in modo assoluto con l’idolo.
Purtroppo in amore vince chi fugge e Maradona scappa da Napoli in quella maledetta primavera del 1991! Nonostante tutto la gente napoletana non lo ha mai dimenticato e mai lo farà: Diego li ha resi grandi ed orgogliosi.
QUANN STEV MARADONA
Il 5 luglio 1984 è una data segnata di rosso indelebile sul calendario partenopeo, così come avviene per ogni data importante: l’arrivo di Diego Armando Maradona alla corte del San Paolo ha segnato infatti l’inizio di una nuova epoca d’oro, che ha impattato sulla storia quotidiana della città e che ancora oggi non ha esaurito i suoi effetti.
Non esageriamo nel dire che Napoli ha avuto due ere: Prima e Dopo Maradona; una nuova lettura del calendario un po’ come le sacre scritture ci hanno insegnato a scandire il tempo Prima e Dopo Cristo, i napoletani hanno da lì in poi scandito la loro appartenenza alla stessa maniera riferendosi al D10S!
Chi ha tra i 25 ed i 40 anni oggi a Napoli ed è di sesso maschile molto spesso porta il nome di Gennaro come il Santo Patrono della città, oppure si chiama Diego come quell’altro (che è alla pari del Santo).
“Quann Stev Maradona” è un modo di dire che i napoletani usano per sottolineare come con lui al loro fianco tutto era possibile, benché la vita quotidiana a Napoli non fosse mai stata facile per nessuno.
Ecco perché il suo arrivo nell’84 è stato accolto dai napoletani come una benedizione caduta dal cielo, per una città tormentata da piaghe sociali ancora attuali come la disoccupazione ed il crimine organizzato della Camorra.
Niente di scontato, ma per i tifosi si trattava di un Messia creatore esagerato di quell’entusiasmo tipico della gente del sud. Non era uno qualunque Diego: era già un calciatore di fama mondiale che arrivava in una squadra non di primissima fascia e finalmente a tutti è apparso possibile che il Napoli e la città potessero competere con le squadre e le realtà del Nord Italia, che da sempre vantavano rose di giocatori ed economie diverse.
Raramente una squadra deve tanto ad un singolo giocatore
I sogni non sono tali, se non sanno farsi aspettare. Il primo anno italiano di Diego è stato buono da un punto di vista individuale, confermando le sue doti e contribuendo a porre le solide basi che poi hanno portato il Napoli a vivere le stagioni più gloriose della sua Storia, che vanno dall’86/’87 all’ 89/’90.
Nel 1986, dopo il terzo posto ottenuto con il club in campionato, Maradona sbarca in Messico per disputare la Coppa del Mondo, con la grande opportunità di consacrarsi definitivamente come il miglior giocatore al mondo. E non ha deluso: il modulo del tecnico argentino Basile era elementare e perfettamente sintetizzato in queste parole: “recuperare palla, darla a Diego, che poi fa lui…”.
Maradona vince il Mondiale e torna a Napoli, con l’unico obiettivo di diventare Campione anche con il club.
Non ci sono a questo punto freni all’estro di Diego e già nella stagione 1986/87 il Napoli vince il primo storico scudetto con Maradona che diventa il leader indiscusso di una squadra ancora per certi versi modesta. In quello stesso anno al Napoli guidato da Ottavio Bianchi riesce anche l’accoppiata con la vittoria in Coppa Italia ai danni dell’Atalanta.
Nella stagione ’87/’88 il Napoli partecipa per la prima volta alla massima competizione europea per squadre di Club, la Coppa dei Campioni, ma l’impatto non fu felice a causa dello sfortunato sorteggio, che accoppiò il Napoli già al primo turno con il Real Madrid (quello della quinta del Buitre).
Il Napoli si ritrova perciò fin da subito concentrato solo sulle competizioni nazionali: questa volta però il titolo vola al Nord, sponda Milan (quello di Sacchi e degli olandesi), lasciando al Napoli il secondo posto in classifica, posizione che avrebbe poi ripetuto anche nella stagione successiva.
Il 1989 rimane comunque una data storica, poiché è l’anno in cui il Napoli conquista il suo primo ed unico titolo europeo: la Coppa UEFA contro lo Stoccarda.
La stagione 1989/1990 inizia con mister Bigon sulla panchina al posto di Bianchi e la ricordiamo per essere stata quella della conquista del secondo e, ad oggi, ultimo scudetto del Napoli:
l’ultimo contributo di Diego Armando Maradona per fare del Napoli un grande club in Italia.
La stagione successiva, 1990/1991, l’universo di Maradona crolla in modo clamoroso: è risultato positivo alla cocaina in un test antidoping di routine il 17 marzo 1991, dopo una partita contro il Bari.
È l’inizio della fine per Diego che scappa da Napoli, ma Mai dai napoletani e dalla sua gente.
Ho conosciuto la “Veronica” di Zidane e rimasto stregato dal Superclasico di Buenos Aires . Seguo più gli eventi sportivi da divano che quelli mondani da drink in mano.
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