Anno Domini 2011, da qualche parte nei Paesi Baschi
Il telefono squilla dall’altra parte dell’Atlantico. Don Luis Mari Segurola, prete della parrocchia di Zumurraga – una comunità di diecimila anime nei Paesi Baschi-, nel rispondere percepisce subito l’accento particolare di chi parla dall’altra parte della cornetta. Il suo interlocutore ha una chiara cadenza argentina ed il prete sta facendo un favore ad un suo cugino, tale Santiago Segurola, che poi è una delle firme più prestigiose quando si scrive di sport in Spagna. Il giornalista lo aveva infatti pregato di parlare con questo amico poichè “voleva fargli qualche domanda”.
La conversazione è stata lunga. L’argentino voleva sapere di tutto e di più sulla provincia Basca. Ha chiesto delle abitudini del luogo, della situazione politica, facendo domande anche su questioni di fede. Esausto, il prete si domandava perché quell’uomo aveva così tante preoccupazioni e curiosamente faceva attenzione a non presentarsi mai con il suo nome; ma in fondo Don Luis è un prete ed è troppo educato per irrigidirsi; inoltre sta facendo un favore a suo cugino perciò in suo rispetto continua a rispondere a quell’uomo che seppur con quell’alone di mistero si mostra comunque grato alla disponibilità del prete.
Qualche mese dopo, il destino riunisce i protagonisti di quella telefonata: nel giorno del funerale proprio della madre del giornalista Segurola, era presente tutto lo staff dell’ Athletic Bilbao; Dopo la messa, due persone hanno chiesto di salutare Don Luis, il prete che aveva presieduto la cerimonia in onore della cara zia. Uno era Jorge Valdano. L’altro, era Marcelo Alberto Bielsa, allenatore dell’Atletico di Bilbao. Fu quella l’occasione per quest’ultimo di presentarsi e di ricordare al prete della conversazione telefonica. I tre hanno riso quando il prete ha ammesso di non aver tagliato quella telefonata “per miracolo divino”. L’argentino è conosciuto con l’apodo “el loco”, il pazzo. Per Valdano però, nulla è più inappropriato: “L’unica follia che riconosco a Bielsa è l’eccesso di virtù”, ha detto di lui.
L’aneddoto della telefonata, così come raccontato dal quotidiano basco Deia, ci spiega molto di Bielsa. Attento ai dettagli, scelse di chiamare il suo amico Segurola per saperne di più sulla cultura di San Sebastian quando ricevette la proposta di allenare la Real Sociedad, salvo poi cambiare sponda convinto da Josu Urrutia all’epoca candidato alla presidenza dell’Athletic.
Un anno e 63 partite ufficiali dopo quella telefonata l’Athletic avrà concluso una stagione indimenticabile culminata con la finale (persa) della Copa del Rey giocata contro il Barcellona. Quello stesso anno il 9 maggio del 2012 si gioca a Bucarest la finale dell’Europa League. Bielsa riesce nell’impresa di portare il club basco ad una finale europea dopo ben 35 anni.
Soprattutto ha però avuto il pieno merito di dotare la squadra di un’identità indelebile, di un marchio Bielsa, in grado di farsi notare in qualsiasi stadio, e questo per lui valeva molto di più. Quell’Athletic, era dinamico, offensivo, coraggioso. Era allegro. L’incontro tra Marcelo Bielsa e l’Athletic Bilbao si è rivelato il concretizzarsi di un idillio che non poteva essere più indovinato.
Un uomo di profonde convinzioni etiche arriva in un club strano oltre che straniero. Bilbao è un ambiente a difesa di un modo di vedere le cose molto tradizionalista e anticonformista. Il club basco è unico al mondo in quanto utilizza quasi solo giocatori della sua cantera o di provenienza quasi esclusivamente basca.
I giocatori che indossano la maglia biancorossa incarnano un senso di appartenenza sia culturale che territoriale che ha pochi eguali al mondo.
Bielsismo Puro e basta
“Quello che non può mai essere fatto è sostituire le proprie convizioni” (cit. M. Bielsa)
“Da allenatore ho idee che difficilmente abbandono perché mi fanno sentire convinto di quello che faccio: se la squadra riesce ad attaccare per più tempo di quanto difende, allora avremo il possesso della partita”
Se già negli ’90 un uomo entrava così di prepotenza nel mondo del Calcio potevamo immaginare che quello sarebbe diventato un mondo migliore? Francamente non saprei, quello che sappiamo è che da quel momento tutto sarebbe stato diverso e non solo in Argentina.
Su Focus ho visto tempo fa un documentario sull’estinzione del potente Uomo di Neanderthal a favore degli snelli e piccoli Uomini di Cro Magnon. La differenza – diceva la trasmissione – stava nel fatto che il Cro Magnon non aveva vissuto al freddo e aveva arti più lunghi, adatti a correre e a lanciare le sue temibili lance. I grossi Neandertaliani invece erano ben adattati al freddo glaciale, ma avevano grandi muscoli in braccia troppo corte per cacciare da lontano.
Finita la Glaciazione sono finite le grandi prede che si lasciavano avvicinare ed è sopravvissuta la razza che sapeva cacciare da lontano.
Ora, senza fare Piero Angela, questa storia mi fa ha fatto pensare allo scenario attuale, dove diversi allenatori , sono stati molto veloci all’adeguarsi al calcio posizionale e quindi salvarsi dall’estinzione…
Marcelo Bielsa è una figura quasi mitologica, soprattutto in Argentina dove ha raccolto l’eredità di Menotti e Bilardo capaci di portare l’albiceleste in cima al Mondo seppur con ideologie e forme di gioco situati a poli opposti.
Bielsa è apparso subito con un nuovo metodo, per quegli anni davvero rivoluzionario: protagonismo, verticalità, dinamicità, possesso palla e soprattutto estetica del gioco.
Non a caso c’è una frase bellissima di Mauricio Pochettino che con estrema facilità definisce chi è Bielsa partendo dall’identificazione dell’allenatore moderno:
“Siamo una generazione di allenatori tutti figli e discepoli del metodo Bielsa”
E tra i suoi fratelli annovera Guardiola, Klopp, Simeone e Conte per citare solo alcuni dei più affermati.
El Loco, con il suo modo maniacale ed ossessivo di approcciarsi alla pratica del gioco, sta continuando ad affascinare gran parte del pubblico calcistico. Un fascino che però non può essere ridotto al solo livello tattico poiché chi segue Bielsa ne ama la filosofia che va oltre lo sport stesso e che è applicabile alla vita di tutti i giorni. Il rapporto tra successo e fallimento, così marcato nella vita di Marcelo Bielsa e di molti di noi, è un asse fondamentale attraverso il quale ruotano tutte le forme della concezione bielsista.
Una concezione filosofica che mette in secondo piano il suo palmares fatto di soli tre titoli argentini e di un oro olimpico con la nazionale.
Il fatto che non abbia una sala di trofei pari alla sua fama o tale da sostenere quello che dicono di lui i suoi colleghi , rende ancora più mistica la sua figura in quanto non c’è nessun altro allenatore nel calcio attuale che abbia avuto la sua stessa influenza malgrado non abbia vinto praticamente nulla. Eppure a Rosario, quelli del Newell’s gli hanno già dedicato il nome dello stadio benchè ancora in vita.
Teoria Bielsista
“Se dovessi mai analizzare un allenatore, farei a meno del risultato, vorrei invece esaminarne il metodo” (cit. M. Bielsa)
Siamo abituati a valutare il lavoro di un tecnico basandoci sui risultati e le vittorie ottenute e mai sul processo lavorativo o sull’approccio quotidiano. Quando si dice che contano i numeri e non le buone intenzioni.
Secondo la teoria bielsista invece il fine NON giustifica i mezzi: è’ una concezione che mette al primo posto la strada che intraprendi e non l’obbiettivo che raggiungi.
A differenza di Guardiola, quella di Bielsa è proprio una figura che si alimenta del proprio fascino filosofico al di là dei risultati ottenuti sul campo.
La Teoria Bielsista individua il successo come un’eccezione o un privilegio di pochi portandolo sullo stesso piano della vita quotidiana dove gli esseri umani combattono, lottano ma solo occasionalmente vincono…
Mette la squadra al centro e pensa alla figura dell’allenatore come una guida non tanto diversa da quella di un buon padre di famiglia.
La chiave del gioco è sempre la stessa: avere il possesso della palla, impedire che ce l’abbiano gli avversari, attaccare la metà campo avversaria per portare pericoli impedendo agli altri di generarne. Una visione elementare e talmente efficace del gioco che rappresenta il mondo ideale di Marcelo Bielsa allenatore. Sentirsi obbligato a vincere in ogni partita e non avere scuse se non ci riesci. E’ questa allo stesso tempo la sua forza e la sua debolezza. Essere sempre protagonisti.
Il calcio di Bielsa è movimento
Le posizioni fisse, senza movimento, rendono la lettura del gioco più evidente all’avversario, perciò l’imperativo diventa correre e qualsiasi calciatore in ogni circostanza, trova un motivo per farlo con dei compiti precisi.
Si perchè la teoria impone dei meccanismi prestabiliti. E’ talmente loco Bielsa da credere che il calciatore come ogni essere umano che affronta una competizione, soffre di quello che si chiama paura del palcoscenico. Ed è proprio la preparazione e la meccanizzazione di un movimento prestabilito esercitato e simulato molte volte in allenamento che riduce il margine di errore. Sposta così la responsabilità del fallimento dal giocatore all’allenatore.
La cosa fondamentale è occupare bene il campo, avere una squadra corta che in 25 metri raccolga la linea della difesa da quella dell’attacco. Sceglie di occupare i lati e di ricercare sempre l’attacco sugli esterni perché è lì che c’è il maggior numero di situazioni pericolose, almeno così gli dicono le sue statistiche.
E’ l’uomo del 3-3-1-3. Fase difensiva affidata a 3 centrali capaci di garantire sia la profondità che un aggressivo recupero di palla. I piedi buoni fanno si che l’azione possa essere impostata dal basso con l’ausilio di uno dei 3 di centrocampo che ripete fino allo spasimo il movimento di copertura e di prima impostazione. I due esterni di centrocampo perennemente in moto verticale, pronti più volentieri ad attaccare gli spazi e meno volentieri a ripiegare in difesa in caso di attacco avversario.
L’1 indica quell’uomo tra le linee, quel numero 10 che lega i reparti, che inventa calcio, che è il creativo in campo e che detta le trame negli ultimi trenta metri. Infine ci sono i 3 attaccanti che in maniera ossessiva sono chiamati da Bielsa ad inserirsi negli spazi provando ad allargare il campo ma che sono anche i primi difensori pronti a pressare il diretto avversario per recuperare palla il prima possibile ed il più vicino alla porta avversaria (quanto Guardiolismo in queste righe?).
Bielsa aggiunge al modulo il suo temperamento e la capacità di motivare i suoi giocatori per farli andare sempre al massimo.
Ama lavorare con molti giovani in squadra poiché sono in grado di assorbire le idee e lo spirito di sacrificio che egli chiede ad ognuno di loro. E’ abituato ad ottenere un salto di qualità dalle squadre in cui approda. Porta un cambio di mentalità e di autostima contribuendo a sviluppare quella personalità ideale a giocare una partita offensiva in qualsiasi stadio e contro qualsiasi rivale: la classica teoria bielsista fatta di pressione costante a prescindere da chi hai davanti e dalla rinascita delle ali e del gioco in verticale.
Come effetto di questa teoria, vale la pena ricordare che non appena arrivato a Lille il giorno di San Valentino del 2017 mette fuori rosa mezza squadra (11 giocatori) poiché non ritenuti idonei alla pratica della sua teoria.
L’esperienza a Lille dura in realtà meno di un anno e sole 14 partite di campionato ma malgrado ciò non ha mancato di alimentare il fascino del mito. Infatti Bielsa viene esonerato nel novembre del 2017 perché partito per Cile a trovare un amico malato terminale di cancro senza avere però il permesso della Società. Chiaro a tutti però quale fosse la priorità per uno come lui e come biasimare un nobile gesto.
ANEDDOTI DAL LOCO
Esiste una ricca collezione di storie ed aneddoti sulla figura del loco Bielsa ed è impensabile pensare di farne un bignami, si pensi ad esempio: alla FIAT 127 che utilizza a 25 anni per girare l’Argentina e scoprire il talento di Batistuta o di Pochettino, ai 26 modi diversi per battere un fallo laterale, a quando raccontano che si arrampicava sugli alberi per vedere meglio le partite e prendere appunti. O ancora il famoso episodio di quella volta che sveglia la moglie nel cuore della notte per portarla in mezzo ad un campo di calcio e spiegargli il modulo che poco prima gli era apparso in mente come una visione celeste.
Qui riportiamo alcuni episodi che ancora di più ci raccontano l’indole loca del personaggio:
ATTENZIONE LIMITATA:
Nel suo periodo alla guida della Nazionale Argentina ha avuto come uno dei suoi giocatori preferiti Ariel Ortega, al quale però rimproverava di avere poca attenzione ai suoi consigli. Rafael Bielsa, fratello del Loco, racconta di come un giorno trova il fratello Marcelo molto pensieroso e gli chiede: “Cosa c’è che non va ?” Risposta di Bielsa? ” Sto pensando a come far capire a Ortega, in 5 minuti, un concetto di calcio che richiede più di mezz’ora per spiegarlo “.
“IO PREFERISCO A 3”:
Sebastian Veron ci racconta di quando in una delle prime apparizioni come CT della nazionale Argentina per le qualificazioni al Mondiale 2002, Bielsa convoca una riunione tecnica per chiedere e confrontarsi con la squadra sul modulo difensivo da adottare. In sintesi il dibattimento era tra scegliere uno schieramento a 3 o una linea classica a 4. L’ex centrocampista della Lazio ci dice che i giocatori votarono quasi tutti per uno schieramento a 4. Dal canto suo il CT appuntava, giocatore per giocatore, le preferenze sulla lavagna sulla quale venne fuori una preferenza per una linea di difesa a 4. Alla fine esclama “linea a 4 … Bene, questo dimostra quale è il modulo che preferite voi. Vi comunico però che io preferisco invece giocare a 3, ed è così giocheremo. Grazie a tutti.” E se ne và
IL LAVORO PRIMA DI TUTTO
L’abnegazione e la dedizione di Bielsa per il suo lavoro è cosa nota. È anche noto che il tecnico registra ed osserva ciascuna delle partite delle sue squadre. L’attaccante Martín Posse, diretto da Bielsa al Vélez, ricorda un grande aneddoto del giorno del suo matrimonio. ” Abbiamo fatto la festa lo stesso giorno in cui abbiamo giocato una partita contro il Boca Juniors, poche ore dopo, e Marcelo Bielsa era presente al mio matrimonio con il video della partita che avevamo appena giocato pronto a farci vedere gli errori!”
MEMORIA INFALLIBILE:
Dalle parole di José Luis Félix Chilavert, ex portiere del Vélez Sarsfield ai tempi di Bielsa:
“Una volta, quando era mio allenatore al Velez, gli ho regalato una maglietta e lui mi ha chiesto dove l’avessi comprata. Gli ho risposto a New York chiedendogli se conoscesse la città.” Quando ha detto di no, ho insistito sul fatto che doveva per forza visitarla perché era la città al centro del mondo e per certi aspetti la più bella. Passarono poi 4 anni, stavo giocando in Francia e il mio telefono squillò, era lui e disse: ‘Chilavert, avevi ragione, questa città è molto bella: Dove hai comprato quella maglietta che mi hai dato? ‘ “,
POI QUALCUNO LO CHIAMA “EL LOCO”:
Il difensore Fernando Gamboa ha narrato un fantastico aneddoto con Marcelo Bielsa, alla vigilia di un Derby contro il Rosario Central, quando l’allenatore dirigeva il Newell’s Old Boys.
“Era domenica dopo la siesta (la partita si giocava lunedì). Ero nel corridoi a giocare a pacman e Bielsa mi si avvicina. Mi guarde e mi chiede se volevo giocare titolare e se fossi ansioso perché l’indomani sarebbe arrivato il mio mometo. mi dice:
– Para, guardami, sto parlando con te
Ho smesso di giocare a pacman ed ho risposto:
– Rilassati, professore, cosa c’è che non va?
Mi guarda di nuovo e mi chiede:
– Cosa daresti per vincere questo derby?
– Tutto, assolutamente tutto darei la mia testa, – ho risposto.
Non era soddisfatto della risposta e disse:
– Di più, devi dare di più
– Qualcos’altro? Sembra poco?
Fu allora che mi mostrò la sua mano e disse:
– Se mi assicuri di vincere, fammi tagliare un dito.
CAFFE’ NERO BOLLENTE:
A Marsiglia un frigo diventa la sua panchina a pochi metri dal campo. Intento com’è a dare indicazioni a suoi giocatori non si accorge che un membro dello staff fa un gesto gentile di offrirgli una tazza di caffè…
Sempre a Marsiglia ci regala un pezzo cult della sua personale Antologia: il 15 marzo 2015 l’ Olympique pareggia 0-0 l’importante match contro il Lione vedendosi annullare ingiustamente un gol a pochi minuti dalla fine del match e perdendo terreno nella corsa al titolo. Nello spogliatoio il discorso è una perla che solo lui poteva regalarci: “Accettate l’ingiustizia, tutto alla fine verrà ricompensato”
Ho conosciuto la “Veronica” di Zidane e rimasto stregato dal Superclasico di Buenos Aires . Seguo più gli eventi sportivi da divano che quelli mondani da drink in mano.
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