Per me il calcio è una scusa per raccontare storie
Quando ho deciso di creare questo blog, è stato naturale guardare all’Argentina ed a ciò che realmente mi dava ispirazione. Buenos Aires è infatti un posto che vive di passione per qualsiasi cosa: il tango, la musica il cibo, l’amicizia. Ma clamorosamente tutto poi sfocia nel calcio.
Daniele De Rossi ha sintetizzato bene il concetto dopo la sua (breve) esperienza con il Boca Juniors “L’Argentina conserva un tipo di calore che non abbiamo più in Italia, c’è una passione disinteressata e pura.”
Arrivare a capire l’influenza che il calcio ha sulla vita degli argentini è un modo per costruire una mappa culturale, molto più profonda, rispetto ai luoghi comuni con cui banalmente ci riferiamo a loro quando parliamo di calcio.
In questa mia esperienza di uomo appassionato di futbol, il blog si è rivelato uno strumento in grado di farmi imbattere in persone, argentini veri, che con le loro storie alimentano il mio desiderio di scoprire il loro mondo. Ed è un mondo che, clamorosamente, sfocia sempre nel calcio.
Jose Luis Butera è una di queste persone. Un perfetto sconosciuto che entra nella mia vita con la scusa del calcio.
Jose, però, il futbol argentino lo ha vissuto da dentro: una carriera da arbitro che ha attraversato gli anni ’80 e ’90, probabilmente i due decenni più intriganti del calcio albiceleste, incrociando sulla sua traiettoria gente come Maradona, Bochini, Sensini e Ruggeri; o vivendo la storia come il Mondiale ‘78 o il fenomeno delle barras bravas.
Perciò mettiti comodo e fai questo viaggio immersivo nel futbol argentino attraverso gli aneddoti e la passione di un arbitro di Primera.
Il Calcio in Argentina è un affare serio
La tecnologia azzera le distanze e mi ritrovo a passare, via zoom, un sabato sera alternativo parlando in spagnolo con un ex arbitro di Primera. In realtà per via del fuso orario tra Italia ed Argentina facciamo notte.
Ma ne è valsa la pena perchè, inconsapevolmente, Butera mi andrà a regalare un viaggio culturale senza precedenti, il tutto condito con la saggezza di un uomo testimone di un’altra epoca di calcio ma che sa perfettamente come gira il mondo contemporaneo.
Quando mi chiede cosa mi piace del futbol argentino io gli rispondo facendogli vedere la Tessera di Socio del Boca Juniors. E, lui, sorridendo ma non troppo mi dice: “Questo è parte del folklore. Prima che inizio a parlarti di futbol ti dico che quando ho smesso di arbitrare, mi sono promesso che mai più sarei tornato nella cancha del Boca alla Bombonera. Perchè? Perchè l’ho vista brutta mille volte sulla linea di campo che segue la parte dove c’è il palco: pensa che la gente urinava in un bicchiere per poi buttartelo addosso sulla testa. Quindi mi sono detto mai più metto piede in quello stadio”.
Gli racconto della mia passione per il futbol della sua terra. Gli dico che qui ancora guardiamo all’Argentina come un posto che trasuda passione, dove il calcio è ancora della gente e riesce a conservare qualcosa di romantico. Molto di più dei canoni italiani ed europei.
In un certo senso conferma. Però allo stesso tempo, la realtà che mi mette davanti rompe con il romanticismo: “La passione qui esiste e resiste nella gente. Il Pubblico. Qui si che c’è passione autentica nel vivere il calcio che è alla base della nostra cultura. I giocatori però scordatelo. Loro no”.
Secondo Butera il calcio è più business lì in Argentina che qui in Europa: la garra, gli stadi bellissimi pieni e calorosi che vediamo da quaggiù sono il sipario di quello che c’è dietro. Appunto Business.
“Qui quando compare un giocatore interessante, non gli danno il tempo di crescere. A 20 anni già le squadre qui vendono i giocatori per fare cassa e li vendono sul mercato europeo. Il ragazzo arriva in Europa con tutti i vizi ed i difetti del gioco argentino che è molto diverso dai canoni europei. Ma non tutti diventano grandi calciatori come successo con De Paul, Lautaro Martinez e tanti altri”
Il suo punto di vista è che non è possibile in poco tempo sintetizzare tutto quello che succede nel futbol argentino. Ma parla di una situazione nefasta con i giocatori che addirittura arrivano a rifiutarsi di giocare se non vengono venduti: “Oggi un club argentino è ricattabile dai propri giovani tesserati che altro non fanno che inseguire il sogno di giocare in Europa con lo scopo di guadagnare molto di più. Questo prima non succedeva. Prendi Maradona, era addirittura uno che giocava con le infiltrazioni al ginocchio gonfio”.
Il futbol di una volta
“Guarda noi avevamo una specie di psicologo che ci seguiva come corpo arbitri. Ci diceva sempre questa frase:
>>Quando sei in uno stadio guarda una delle due porte del campo e sai che dietro c’è una curva piena di gente che va ad applaudire la sua squadra. Guarda dall’altro lato del campo e vedi un’altra porta e sai che quando l’altra squadra esce, quella curva va ad applaudirla. Nel mezzo del campo uscite voi arbitri e tutte le due curve insieme mi vanno ad insultare>> Ieri come oggi serve abituarsi a questo altrimenti non puoi arbitrare”.
“Lo spirito in quegli anni era totalmente differente che ora. Mi ricordo quando Bochini e Maradona iniziavano ad essere giocatori con voglia di affermarsi in Europa ma solo dopo che erano già degli idoli qui in Argentina. Oggi invece tutti vorrebbero andare in Europa senza affermarsi prima qui nel loro Paese.
Quelli erano gli anni anche di Alonso e Passarella tutti molto legati alla loro squadra.
C’era molta gente che credeva nel futbol e lo prendeva sul serio. Ti faccio un esempio di calciatori che conoscete in Italia e prendiamo l’Argentina campione del mondo dell’86, el Negro Enrique, el Tata Brown, Bochini, Tapia: gente che credeva nella camiseta e che giocava per la maglia sul serio. Non era questione di soldi. Giocavano davvero prima di tutto per la gloria e non per il denaro. Oggi guarda per esempio i calciatori della nazionale italiana: amano la maglia da bambini e poi tutta la carriera si sviluppa sull’ambizione di guadagnare soldi. E qui in Argentina è lo stesso”
L’Italia vista dall’Argentina
“Hai visto ad esempio la finalissima tra Italia ed Argentina a Wembley? Mi ha rubato l’attenzione la squadra azzurra che pur avendo i giocatori di personalità che aveva, questi non correvano, non ci mettevano la voglia. Questa era l’impressione che abbiamo avuto qui nel nostro Paese di quella partita.
Qui in Argentina se succede quello che è successo in Italia, di non qualificarsi due volte ad un Mondiale la gente brucia la sede dell’AFA.
Nelle qualificazioni al Mondiale 2018, l’Argentina si giocava tutto all’ultima giornata contro l’Ecuador a Quito. Nello stesso momento in cui si giocava la partita, la casa del presidente dell’AFA, Tapia, era protetta dalla polizia perchè la gente si era radunata lì.
Questa è una locura, come diciamo qui. Il Folklore e la Passione che si trasformano in Pazzia con il rischio di diventare violenza.
Tifo e Barras Bravas – il lato oscuro dell’argentina calcistica
Già, la violenza e la fenomenologia delle Barras Bravas argentine sono mitologia anche qui in Italia. La chiacchierata si sposta sull’argomento con Jose che dice di quanto era bello il calcio negli anni 80 in Argentina, quando non esisteva neanche il termine Barra Brava.
“All’epoca dell’80 immaginala così: uno stadio con due curve ognuna a sostegno della propria squadra. Alla fine del primo tempo le due curve si spostavano, una andava da una parte e un’altra dall’altra”.
“Tutto cambia in violenza negli anni ’90 con il business che girava attorno ai club. Ricordati che qui i club sono fatti di azionariato popolare e non c’ è un proprietario unico come siete abituati in Italia.
Il business delle barras bravas di allora è lo stesso di oggi solo che oggi girano più soldi. E sembra incredibile che muoiono persone per affari che riguardano parcheggi allo stadio, divise sportive, biglietti gratis per le partite che la barra si rivende ricavando soldi oppure usa per il prestigio di andare in giro con la squadra anche in trasferta.
Il tutto è possibile con il consenso dei dirigenti che diventano i maggiori responsabili di tutto questo.
Il calcio argentino è lo specchio della società e la corruzione è colpa di chi contribuisce a far si che possa esistere. Nel calcio come in tutti gli ambiti.
Personalmente ho avuto la fortuna di lavorare in un’ epoca molto più tranquilla che questa. All’epoca era solo la stampa che ti faceva paura.
Guardiamo all’Inghilterra che è passata dagli hoolingans ad essere uno dei campionati che più si sono sviluppati ed oggi è forse il campionato dove vanno a giocare i calciatori più forti. Sono cresciuti socialmente, ricordiamoci che gli stadi inglesi non hanno protezioni. Qui in Argentina senza reti di protezione dura 5 minuti una partita.
Anzi è anche peggio visto che da diversi anni ormai in campionato si gioca, per legge, senza tifosi ospiti come effetto del fenomeno delle barras bravas argentine”.
Hablamos de Diego Maradona?
Jose si toglie la sigaretta dalla bocca, quasi in segno di devozione.
Cambia espressione quando nomino Maradona.
D’altronde Butera è di Lomas de Zamora e vive a poche quadras da dove Diego è nato.
Con Jose Luis siamo d’accordo nell’immaginare come Maradona arrivando a Napoli si sia trovato in un luogo con molte similitudini al contesto argentino. La povertà, l’arte di fare ed improvvisare, il sud contro il nord e di come si sia potuto immedesimare in tutto questo viste anche le sue origini di un barrio povero come Villa Fiorito.
Maradona ha lottato da sempre. E doveva avere una lotta da portare avanti per essere Maradona quello vero.
Butera ha una sua tesi rispetto a Maradona: “Credo che Diego sia arrivato ad essere ciò che è non solo perchè giocava al futbol ma perchè giocò a Napoli.
Maradona è stato a Barcellona ma quello non era il suo posto. Con Messi è successa la stessa cosa ma con la differenza che Barcellona era il suo posto anche se ora sul finale di carriera se n’è andato. A Diego la cosa migliore che gli è potuta succedere è stata quella di arrivare a Napoli.”
“Ora ti racconto una cosa dell’81, tre anni prima che Diego arriva a Napoli, lui era un Pibe che giocava una meraviglia, una cosa incredibile ma non occorre che lo dica io. Però già entrava in una voragine che non si poteva fermare. Ti faccio un esempio: il suo manager all’epoca era già Cysterpiller il suo amico d’infanzia. Era la fine della stagione e noi tra arbitri e guardalinee affiliati all’AFA eravamo circa 350. Insomma ci arriva ad ognuno, a casa, una foto di Diego, firmata da lui con ringraziamento per il lavoro svolto.
Stiamo parlando dell’81, quando non c’era il marketing che esiste oggi”.
Gli dico: Immagino che custodisci gelosamente una reliquia del genere?
Ride e dice “L’ho buttata via! Il giorno stesso! E ti spiego perchè: io sono malato di senso di giustizia! E non volevo niente che potesse influenzarmi sul lavoro da nessun giocatore. Cercavo di stare alla giusta distanza anche dagli amici che avevo e che giocavano a calcio. Quindi qualsiasi cosa che mi arrivava da calciatori o anche dirigenti, via me ne sbarazzavo. ”
“Quando Maradona verso la fine della sua carriera torna in Argentina per giocare nel Newell’s, dopo 15 giorni c’è un evento dell’ AFA ovvero una partita tra una selezione di arbitri e una selezione di giocatori tra cui c’era anche Maradona. Io quando ho visto una cosa del genere volevo chiamare la polizia perchè per il mio senso di giustizia ed imparzialità era assurdo vedere calciatori ed arbitri mischiarsi così!
Chiaramente ironizzo ma è per farti capire quanto sono malato del concetto di giustizia e perchè ho buttato via una cosa di Maradona anche se è successo quando Diego non era ancora il Dio del calcio”.
“Maradona non l’ho mai incrociato sul terreno di gioco ma l’ho visto diverse volte negli uffici della AFA.
Mi viene da ridere pensando ad una volta che ci siamo ritrovati in ascensore quando ancora lui era un ragazzino ed era da poco arrivato al Boca Juniors.
Lo incrocio nell’ascensore, lui entra e quello che mi cattura l’attenzione è come un ragazzo tanto giovane mi guardava come per dire >>guarda chi sono io>>.
E questo tratto era distintivo nel suo carattere, se pensi a Diego ti rendi conto che ti sfidava costantemente. E’ un tipo che ha vissuto sfidando tutto il mondo, sempre”.
“Se vogliamo leggere la carriera di Diego dall’inizio con l’Argetninos Juniors fino all’addio con la maglia del Boca passando dal mondiale 94 quando lo squalificarono per il doping, il suo miglior momento è stato negli anni di Napoli”.
Nè con il Boca nè con l’Argentina è stato quello di Napoli. Non a caso il mondiale 86 lo vince da solo nel periodo in cui vinceva già con il Napoli.
Infatti nè al Boca e nè in Argentina lo adorano come lo adorano a Napoli. Non sono io a scoprire che da sempre per la gente del Boca il vero mito è Riquelme che supera quello di Diego”,
“Per il capitolo Boca succede che quando Maradona diventa CT dell’Argentina c’è un litigio suo con Riquelme che rinuncia quindi alla Nazionale e quelli del Boca sempre si sono schierati a favore di Riquelme”.
“Non è facile esprimersi quando una persona si trasforma in un mito, perchè diventando un mito allora ci sono molte verità e molte menzogne attorno alla figura. Io ho la fortuna di appartenere ad una generazione che ha visto giocare probabilmente i migliori calciatori del mondo: ho visto giocare Pelè, Cruyff, Maradona, Messi, Ronaldo, Ronaldinho, Platini, insomma a tutti.
Se ti devo dire chi è stato il più grande calciatore che ho visto giocare fino ad oggi allora metto sullo stesso scalino Maradona, Messi e Pelè.
E perchè ti dico lo stesso gradino? Perchè appartengono ad epoce diverse.Tu non gli puoi chiedere a Pelè la velocità che contraddistingue le giocate di Messi nella nostra epoca. Nè puoi chiedere a Messi la furbizia (o la mala leche) di saltare e colpirti con una gomitata. Era un altro calcio.
Io credo che Maradona più di tutti ha la virtù di mescolare la parabola calcistica con quella personale e creare egli stesso la propria storia di Mito. Però non perchè se l’era prefissato ma perchè la vita gli ha portato questo. Il futbol lo ha elevato a mito; la vita impazzita che ha vissuto lo ha elevato a mito; Tutto ciò mescolato è diventato il mito.
Il suo mito vive della lotta contro tutti: gli è toccato lottare contro la stampa a Barcellona, lottare contro la stampa in Argentina, ha dovuto lottare contro la droga che probabilmente era la lotta più difficile. Sempre di più, tutto ciò contribuiva ad alimentare il suo mito.
Tutta la sua vita sommata con il futbol che giocava, credo che, lo fa stare sullo stesso gradino degli altri forse un pelo più in alto.
Vivere da argentino il Mondiale ’78
“L’epoca della dittatura era terribile.
Dal punto di vista sportivo ancora abbiamo molti dubbi su quel mondiale. Perchè il popolo argentino necessitava di festeggiare qualcosa. Rimangono i dubbi sul fatto che la vittoria sia stata davvero così limpida piuttosto che condizionata dal regime.
Io avevo 23 anni. Sono stato a vedere tutte le partite dell’Argentina allo stadio del River. Tutte Tranne una : la finale, perchè il mio amico che trovava i biglietti, quella volta li vendette e con i soldi della vendita pensa che si comprò addirittura una macchina…
Però avendo visto tutto il mondiale, ancora non riesco a capire come l’Argentina fece 6 gol al Perù”.
“Poi ci sono le storie, quelle che si raccontano e fanno parte della mitologia senza sapere se è realtà o fantasia o puramente un mix.
Quello che ti racconto l’ho sentito in uno spogliatoio negli anni successivi durante la mia carriera di arbitro. Quella squadra nella prima fase del mondiale giocava contro Francia, Ungheria ed Italia. Quando gioca le prime due partite, L’argentina vince. La terza partita era contro L’Italia e Bettega castiga i padroni di casa che si classificano quindi come secondi nel girone perdendo il diritto di giocare a Buenos Aires”.
“Ora, quello che ho sentito vuole che prima di questa partita, proprio nello spogliatoio – si racconta – che arrivò Lacoste, il generale incaricato dal regime per l’organizzazione del mondiale. Lacoste dice ai giocatori argentini >>Oggi contro l’Italia dobbiamo perdere. Perchè se vinciamo allora continuiamo a giocare qui a Buenos Aires, mentre a Rosario tutti i biglietti sono invenduti>>” Ovviamente per il regime era invece importante il pineo successo dell’evento, quindi vendere anche tutti i biglietti per tutte le partite. Dicono, e ti preciso che dicono nella mitologia che si tramanda e che io mi limito a raccontarti, che c’erano giocatori come Tarantini, Fillol che giocavano e che non gli piaceva perdere nemmeno contro la nonna come si dice qui. Ed invece quella partita la persero. Così l’Argentina andò a giocare il secondo girone a Rosario e quindi furono venduti tutti i biglietti anche in quella città.
Però è parte del mito, non si sa se verità o meno. Io c’ero allo stadio contro l’Italia e per me l’Italia giocò bene e meritò di vincere”.
“Ci sono molti miti attorno a quel mondiale. Non mi ha lasciato indifferente il tema che il miglior giocatore del mondo rinunciò a quel Mondiale proprio per il tema della dittatura e mi riferisco a Johan Cruijff.
Lui disse che in nessun Paese con un regime di dittatura sarebbe andato a giocare e così fu. E dopo che l’Olanda perde la finale con l’Argentina Cruijff disse ancora che se avesse giocato quella finale lui non avrebbe avuto più la morale di guardare negli occhi i suoi figli. Perciò vedi si, mi ricordo della musica dei festeggiamenti per quella vittoria però non fu lo stesso sapore che ha avuto la vittoria del Mondiale 86. Quella fu tutta un’altra storia”.
“Sui fatti della dittatura di per sè, è più facile vedere le cose in maniera più nitida oggi che all’epoca quando ero un ragazzo di 23 anni.
A quell’età lì quando andavo allo stadio mi importava poco che in giro c’erano i soldati con il fucile, l’unica cosa che mi interessava era vedere vincere la mia squadra. E’ chiaramente l’incoscienza di quando uno è giovane e di molte cose me ne sono accorto con il passare del tempo”.
L’arbitro, il tifoso ed il Club Atletico San Lorenzo
So che Butera è tifoso del San Lorenzo. Alla faccia del mito che pretende l’arbitro senza fede calcistica, oggi ho la soddisfazione di chiedere ad un arbitro quale è stata l’emozione più grande che la sua squadra gli ha dato in tutta la sua vita.
Anche la risposta è però sorprendente: “Non puoi immaginarlo. Io ho un modo molto differente di riflettere sulle cose. Non ti mettere a ridere. Allora il miglior momento per me è stato quando il San Lorenzo è retrocesso. Perchè San Lorenzo è risorto quando è retrocesso. San Lorenzo è oggi San Lorenzo perchè è retrocesso nel 1981″.
“San Lorenzo in quell’anno era fallito, senza soldi per via di una gestione societaria senza senso. La Dittatura decide quindi di intervenire per appropriarsi dello stadio del San Lorenzo poichè gli interessavano i terreni.
Ma è determinante capire che in quel momento lo Stadio Gasometro del San Lorenzo era un tempio in Argentina. Era di fatto l’unico stadio nel centro della Città di Buenos Aires ed era ubicato in una zona strategica della capitale, nella zona di Bodeo. Quindi gli presero lo stadio ed il governo vendette il terreno al Gruppo Carrefour per farci un grande centro commerciale.
E’ questo un fatto di cui ancora oggi si parla in Argentina eppure l’effetto di questo furto legalizzato è stato quello di far risorgere il club”.
“Un Club come il San Lorenzo che in quegli giocava la B era contro intuitivo. Parliamo infatti di uno dei Club più importanti del Paese con ben 8 campionati vinti fino a quel momento. Le squadre della B contro cui giocavano dovevano cambiare lo stadio per via della gente che seguiva il San Lorenzo.
San Lorenzo ha avuto l’abilità di imparare dai suoi errori e da lì risorgere ritornando subito in Primera e costruendo il suo nuovo stadio in soli 12 anni.
Da lì nasce il San Lorenzo che negli anni a venire ha vinto campionati oltre che la Coppa Libertadores che mai aveva vinto nella sua gloriosa storia.
Quindi se ti devo dire quale è stato il miglior momento, ti dico il peggiore”!
Quando essere arbitro era una questione di onore e prestigio
Il desiderio di indossare la camicia nera di arbitro arriva in modo quasi comico per Butera che racconta: “Ho iniziato la mia carriera partendo da due passioni che coltivavo ovvero: avvocatura e giornalismo. Nel 1980 quando avevo 22 o 23 anni un compagno di lavoro mi disse >>tu che sei nel mondo della giustizia e dello sport, vuoi iniziare un corso di arbitro in AFA?, Andiamo a farlo?>> La storia finisce che a lui lo scartano per la statura mentre a me mi prendono.
Quando io ho iniziato l’ho fatto per passione, infatti all’epoca arbitrare non era una professione come invece lo è oggi.
Era un “gioco remunerato”, cioè ti davano un rimborso. Ma c’è da capire questo: a quell’epoca quando un arbitro veniva convocato per arbitrare ad un Mondiale non veniva pagato. Il principio era quello di avere l’onore di dirigere una gara di un Mondiale. Pagavano una diaria, certo, ma faceva ridere. E ti ripeto: quello che all’epoca contava era il prestigio e l’onore. All’epoca dovevi davvero tenere tanto a quella professione, che poi professione non era”.
“Mi piaceva arrivare allo stadio diverse ore prima. Osservavo curiosamente i calciatori che entravano nello spogliatoio e soprattutto mi piaceva uscire prima della partita per vedere lo spettacolo delle tribune. La passione della gente.
Era meraviglioso soprattutto quando quando andavo nel nord dell’Argentina: stare dentro uno stadio e vedere una montagna umana con trombe, tamburi ti regalava emozione”.
L’unica abitudine che avevo era quella di arbitrare tenendo al collo una collana che mi aveva regalato mio padre.
Una cosa comica di mio padre è che è venuto a vedermi arbitrare soltanto una volta. E poi un giorno mi disse che mai come quel giorno aveva sentito insultare così tanto mia madre.
Quando ho finito la mia carriera sul campo ho continuato la mia passione di incontrarmi con gli arbitri, di vedere partite, collaborare con l’AFA ed un giorno sempre mio padre a proposito mi ha domandato:
“Non ti capisco, dopo che hai visto cosa è il calcio da dentro, ancora continua a piacerti?” ed io non ho avuto esitazioni: “Sai cosa papà. a me mi piace il gioco. Se io lo guardo come il business che è diventato, non vado più in nessuno stadio”.
Grazie a Jose Luis Butera (il primo da sinistra nella foto in basso)
Ho conosciuto la “Veronica” di Zidane e rimasto stregato dal Superclasico di Buenos Aires . Seguo più gli eventi sportivi da divano che quelli mondani da drink in mano.
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