Estratto dalla Tesi di Hernan Crespo e di come il concetto, tipicamente argentino, di calcio di strada tende ad enfatizzare il talento individuale identificandolo in quello che è universalmente riconosciuto come lo stile argentino di giocare al calcio. Amen.
Futbol de Potrero
Come in molte altre parti del mondo, il calcio fu introdotto in Argentina dagli Inglesi che già a partire dalla seconda metà del 19° secolo avevano a Buenos Aires una grande comunità di circa 10.000 persone.
Nella prima fase dalla sua nascita il calcio argentino era giocato principalmente da espatriati britannici o di estrazione inglese, tanto che L’Argentine Football Association, inizialmente non permetteva che si parlasse lo spagnolo durante le riunioni. L’inglese, infatti, era la lingua ufficiale delle partite: «Il giocatore colpito poteva accettare le scuse del colpevole, sempre e quando le sue scuse fossero sincere e formulate in inglese corretto».
Con la crescita della popolarità del gioco cala l’influenza Inglese sullo stesso: quello che era un divertimento per i ragazzi bene della borghesia locale inizia a diffondersi lungo le strade che costeggiano il Rio de la Plata. Il calcio diventa un simbolo di riscatto economico e sociale, rappresentando il mezzo più efficace e diretto di riscatto per neri, mulatti e creoli. Il campo inizia a rappresentare uno spazio libero, veramente democratico nel quale poter lottare alla pari, bianchi e neri, magari nella stessa squadra.
Il 1914 è una data importante per la storia del Calcio Argentino. Per la prima volta un club prevalentemente “criollo”(il Racing Club de Avellaneda), conquista il Campionato di Prima Divisione e questo senza un solo giocatore di origine britannica nell’undici titolare.
A partire da questa data, lo sport si apre alla massa e si sviluppa nei quartieri, con un gioco senza regole, non istituzionalizzato che viene definito “fútbol de potrero“.
Ed è proprio questo che sarà decisivo per lo sviluppo degli stereotipi nazionali e per la nascita dello stile denominato “criollo” o “Rioplatense” così definito in opposizione allo stile “inglese”.
E’ la stessa stampa argentina che forma nell’immaginario collettivo la differenza tra i due stili: disciplina, metodo, forza e potere fisico quello “Britannico” contro agilità, virtuosismo nei movimenti e creatività individuale di quello “criollo”.
Con gli anni ‘20 arrivano i nuovi stadi, lo sviluppo delle trasmissioni radiofoniche ed il crescente numero di soci e praticarti che consolidano il calcio come spettacolo sportivo. In questa epoca il calcio si concentra a Santa Fe, Rosario, ma in particolar modo da Buone Aires, diventata la Capitale del calcio e del tempo libero. Tra gli anni ’30 e ’40 si aprono le frontiere e il mercato Mondiale dei giocatori si consolida. Decine e decine di giocatori argentini emigrano in Europa. Ma il processo migratorio non ha una sola direzione ed arrivano in Argentina allenatori stranieri, principalmente europei, arbitri inglesi.
Il Calcio argentino s’identifica in quegli anni su due pilastri: la “gambeta” come espressione del genio individuale ed il “pase” come misura del talento, il coordinamento collettivo e la capacità strategica. Uno stile dove non solo si gioca a calcio, ma dove il talento individuale, come per un pianista o un violinista, porta gli europei a dire che gli argentini “tocan el futbol” e legittimano l’idea del “toque” come il simbolo dello stile nazionale.
A partire dal ’70, il moltiplicarsi delle partite che incrociano squadre Sudamericane ed Europee, così come la possibilità di osservare, grazie alla televisione, altri stili di gioco e non ultimo, l’internazionalizzazione del mercato dei giocatori, produce una evoluzione nello stile del calcio Argentino, che porta alla fusione del “futbol de potrero” con molti degli elementi che caratterizzavano il calcio Europeo: gioco collettivo e coordinato, strategia, passaggi di prima, triangoli, maggiore velocità nel gioco.
Il risultato è la creazione di uno stile più efficace in grado di portare numerose vittorie internazionali e che viene definito in modo generico “calcio Sudamericano”. Da questo momento in poi il calcio argentino, convive con un credo in cui talento e capacità devono prevalere sempre sulla forza fisica. Filosofia che porta, nel 1978, l’Argentina di Luis Metotti a vincere la sua prima Coppa del Mondo. La ritrovata convinzione dell’importanza dello stile Sudamericano, coincide con l’arrivo nei campi da calcio del giocatore che forse meglio di tutti rappresenta le qualità dello stile “criollo”: Diego Armando Maradona.
Un calciatore superdotato che con il suo dribbling improvviso, “los canos”, “las pisadas”, “la rabona” e “il sombrero” per quasi 2 decadi a partire dal 1979 porta i più grandi risultati alla Nazionale, ai Club in cui ha giocato ed a tutto il movimento calcistico internazionale. Caratteristiche e stile che oggi ritroviamo nel suo successore, Lionel Messi, che pur cresciuto calcisticamente nel calcio europeo, mantiene le caratteristiche tipiche del calcio Argentino. L’allenatore argentino Angel Cappa , parlando di Messi dopo una partita al Camp Nou, afferma:“ Abbiamo visto un Messi completo. Possiede uno stile calcistico di enorme spessore, conserva l’istinto, l’immaginazione e soprattutto non perde l’essenza del calcio “potrero” che è la cosa più importante”.
Il “potrero” rimane la culla dei grandi calciatori e come tale va rispettato. E’ impossibile dimenticare che è proprio da quei campi che sono emersi giocatori come Riquelme, Tevez, Maradona, Messi. “Il potrero è la patria dello sport argentino, è l’essenza di questo gioco nel nostro paese. E uno spazio sportivo collettivo, dove tutti sono ammessi a giocare. In quel posto i bambini si conoscono come “pibes e cominciano a sognare un futuro da calciatori”
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Titolo Tesi: “IL CALCIATORE MODERNO: IDENTITA’, NAZIONALISMO E INTERNAZIONALIZZAZIONE ”
Autore: Hernán Jorge Crespo
Relatore: Renzo Ulivieri
Ho conosciuto la “Veronica” di Zidane e rimasto stregato dal Superclasico di Buenos Aires . Seguo più gli eventi sportivi da divano che quelli mondani da drink in mano.
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