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Quando l’Argentina è diventata grande

Tutto il sentimento che ha spinto la nazionale Argentina alla vittoria in Qatar

LA SQUADRA CHE PORTO DENTRO IL CUORE

La Scaloneta è diventata Campione del Mondo alla fine di un percorso esaltante durato 18 mesi ed iniziato con la vittoria continentale della Coppa America, passando per la Finalissima contro i campioni d’Europa dell’Italia.

La Scaloneta Ganando Partidos esattamente come nel coro degli ultras argentini.

Scaloni ha ridefinito il concetto di appartenenza alla maglia dell’Argentina ed ha ottenuto quello che gli allenatori di alto livello passati prima di lui non sono riusciti a conquistare: il Mondo.

Una squadra, forse sottovalutata nelle sue virtù: quasi come se ci fosse un campionato mondiale delle opinioni dove queste valgono più della realtà stessa.

Una squadra che si è divertita a giocare, ma soprattutto è diventata un gruppo indissolubile di Bastardi Senza Gloria capaci però di arrivare alla Gloria Eterna.

Una nazionale nata dal fango delle critiche dopo la serie di delusioni che hanno accompagnato l’albiceleste fino a Russia 2018, quando per Messi sembrava la fine di tutto. Il più grande giocatore argentino che ha inseguito e superato i numeri di Maradona, senza però riuscire a consacrarsi in Nazionale.

Il Pibe che non riesce a regalare la gioia più grande alla sua gente.

Ma ogni cosa ha il suo tempo. Ed ogni leader pianifica tutto. Scaloni prima del mondiale aveva delle idee e dei giocatori in testa ma, arrivato in Qatar, ha avuto il coraggio di mettersi in discussione.

Soprattutto ha costruito un gruppo forgiato sulla filosofia dell’epica argentina con: Mate, Birra, Asado, Carte, Cumbia e Fernet. Cosa c’è di più popolare nella terra del Rio de la Plata? Si forse una cosa si: il futbol.

Memoria di una Disillusione

L’Argentina in finale nel 2022 è stato come vedere una bella donna tornare nel luogo in cui aveva giurato di non tornare mai più, dopo il dolore di un amore disilluso.

Nel frattempo la vita è passata e con essa i protagonisti sono cambiati. La squadra Campione del Mondo 2022 ha dimostrato però di avere memoria della disillusione che 8 anni prima, altri giocatori avevano vissuto nella finale persa al Maracanà.

Nelle sette partite giocate in Qatar, i difetti individuali sono stati sostituiti dall’andare collettivo, non solo del gioco ma dello spirito.

La Scaloneta mi è sembrata un Tango: come nella migliore tradizione argentina ho visto bellezza estetica ineguagliabile e cultura del lavoro. L’Argentina è anche quella maglia che trasforma undici giocatori in un Paese.

In quella squadra sembrano giocare tutti quelli che passano di là, per una strada di Buenos Aires in un sabato sera. Un Mondiale iniziato inseguendo gol ed estetica, ma terminato combattendo insieme ad un Paese intero che spingeva da dietro.

E’ stato il Mondiale di Messi e della sua capacità di trasformare il gioco in arte ma, per accompagnare il suo schema, c’è stato bisogno anche della grinta di De Paul e della guardia di Otamendi così come dell’istinto del Dibu Martinez.

Concentrazione, sofferenza, felicità e festa: questi giocatori, con le loro maglie al vento, sono stati tutto ciò.

Chi ha detto che sarebbe stato facile?

La partita non è iniziata ma già si gioca con i sogni che però non arrivano mai senza i loro incubi.

22 novembre 2022 . Al suo esordio mondiale in Qatar contro l’Arabia Saudita, l’Argentina segna tanti gol nel primo tempo, ma solo uno è buono. Gli altri sono annullati dal VAR.

A inizio ripresa i dubbi del gioco argentino si trasformano in panico, ed in soli 8 minuti arriva l’impensabile e storica vittoria dell’Arabia contro una superpotenza del calcio.

Lì la Scaloneta capisce la sua vera identità. In una competizione che dura un mese devi essere furbo, approfittando dei momenti che vivono i singoli giocatori.

Devi adattarti, devi cambiare e devi essere intelligente per capire dove andare in ogni momento. D’altronde la fase a gironi è l’unica parte di un Mondiale dove puoi perdere una partita.

Scaloni, da quel momento e fino alla prossima partita, rielabora il ruolo di Lautaro e Di Maria ed ecco le intuizioni Julián Álvarez ed Enzo Fernández che in questo mondiale diventeranno devastanti.

Il potere dei colori

Fa caldo e il sole è alto in un sabato che sembra normale ma che invece a Buenos Aires non lo è. Dopo lo shock per la sconfitta contro i sauditi, il derby latino contro il Messico è determinante.

I ragazzi e le ragazze di Buenos Aires che non dormono, per l’insonnia mondialista, sanno che se c’è qualcuno che giocherebbe alla morte pur di fare uno sgarro agli argentini, questi sono proprio i Messicani.

Questa è la paura con cui si sveglia il 26 Novembre una nazione, pensando al disagio di un fallimento che iscriverebbe il Paese nel libro sbagliato della storia del calcio.

In Argentina, il calcio è tachicardia e non ci sono sfide semplici per una squadra che sa di rappresentare il battito cardiaco di 45 milioni di persone.

Ecco perché la vittoria per 2-0 trasforma lo stadio Lusail in una caldaia, mentre Scaloni ed Aimar mostrano il loro lato più debole, quello sentimentale, quando il tecnico piange accanto all’amico Pablo.

Lionel Scaloni e Pablo Aimar rappresentano una generazione letteralmente malata di calcio. Sono nati insieme su un campo di calcio e sono stati essi stessi due disillusioni del futbol argentino. I polli di Pekerman li chiamavano.

E se contro il Messico non fosse stata vittoria, quello stesso popolo che oggi li ama li avrebbe invece ammazzati. Scaloni ubriaco di felicità con l’adrenalina che scorre dentro le sue vene abbraccia il suo vice mentre ancora non sa quale destino lo attende.

Vamos Los Pibes

La Polonia. Questa è la partita di Scaloni. Degli uomini che LUI ha scelto e che ha portato fin là.

La prima volta che Scaloni ha convocato Nahuel Molina è stata per le qualificazioni alla Coppa America 2021, dopo il primo anno del ragazzo all’Udinese.
Anche la storia di MacAllister con la nazionale inizia con Lionel Scaloni solo a fine 2019, quando non era ancora nemmeno un titolarissimo al Boca Juniors.

Enzo Fernández invece è apparso a sorpresa tra i convocati soltanto un anno prima del mondiale, proprio durante le qualificazioni al torneo del Qatar.

Lo stesso Julián Alvarez è arrivato in nazionale poco prima della partecipazione alla vittoriosa Coppa America 2021. Non era ancora titolare del River Plate ma Scaloni sorprese tutti scegliendolo come uno degli attaccanti da portare in rosa.

Contro la Polonia, partita da dentro o fuori, Scaloni scommette tutto su di loro, su quelli che sono le sue creature all’interno di quella squadra. Oltre al solito Messi ovviamente.

E da loro ha ottenuto ciò di cui aveva bisogno per sovrastare la banda di Lewandowski: personalità per indirizzare gli attacchi, intelligenza nel trovare spazi nelle difese, imprevedibilità nell’attraversare la metà campo rivale.

Non lo cambio con niente

Per entrare, una volta e per sempre, nella memoria del popolo calcistico argentino Messi contro l’Australia supera Maradona come numero di gol segnati in un Mondiale.

La celebrazione, forse più colorita, arriva dalla voce di Daniele Adani che commenta per la Rai la telecronaca della partita.

Adani trasforma Messi nel Messia facendosi trasportare in una preghiera al 10 che recitava più o meno così:

“Eccolo qui, eccolo qui. 1000 e 1 mas, trasforma l’acqua in vino da quella posizione”, dice Adani. “L’abbiamo detto: mai lasciare libero Messi da quella posizione. Fantastico, il giocatore migliore del mondo. il calcio migliore che potete vedere sul pianeta Terra, eccolo qui: Lionel Messi”.

Quarantacinque milioni di persone

Il match contro l’Olanda, inizia che sembra uno spin off della serie Netflix: “La Regina degli Scacchi”: si gioca quasi più di strategia come su una scacchiera che a pallonate su un terreno verde. Più pedoni che calciatori.

Ciò che la dinamica degli scacchi non può replicare è però l’atroce fascino dell’imprevedibile. Soprattutto quando Messi guarda quello che non si vede, inventando l’assist più bello di Qatar 2022.

Per 80 minuti l’Argentina è l’unica squadra in campo, con un gioco di gran lunga superiore rispetto all’Olanda sfoderando anche un Messi dominante.

Poi quando tutto sembra fatto, sul 2-0, l’Olanda comincia a flirtare con il destino, prima pareggiando e poi riuscendo a portare la partita fino ai rigori.

Alla vigilia, Van Gaal davanti ai giornalisti aveva presentato la partita facendo una dichiarazione di guerra verso la filosofia latina di interpretare il gioco del calcio. I riferimenti erano a Messi ed a Riquelme anche se per motivi diversi che poi vedremo. Ma, tra le cose dette da Van Gaal c’era risalto per un’altra frase in particolare: “Se andiamo ai rigori siamo avvantaggiati noi”.

Emiliano “el Dibu” Martinez è un esempio di eroismo popolare.

Nelle sue mani porta l’illusione di un paese che guarda i Mondiali nell’unico modo in cui bisognerebbe guardarli: come se non esistesse nient’altro.

Perché? Ovvio: La squadra argentina è destinata a portare tatuata sulla pelle il fascino autentico di un intero paese.

Il portiere, contro l’Olanda, ha scritto la storia che ancora aveva un finale sconosciuto. Tempo dopo, però El Dibu farà sapere che fu proprio quella frase di Van Gaal a motivarlo, risultando poi decisivo in quella lotteria che consegna la semifinale mondiale alla Scaloneta.

Nuovamente il TOPO GIGIO

L’esultanza, mimando le orecchie grandi e tese all’ascolto, è iconicamente associata al genio di Juan Roman Riquelme. Il nome Topo Gigio è invece coniato dall’allora presidente del Boca, Mauricio Macrì, destinatario egli stesso di quel gesto poichè non voleva ascoltare le richieste di rinnovo di Riquelme.

Macrì, incalzato dai giornalisti, glissò infatti dicendo che il giocatore mimava il pupazzo di Topo Gigio dedicando l’esultanza alla stessa figlia di Macri, fan del personaggio.

Quel gesto, delle mani larghe sulle orecchie, Messi lo riserva polemicamente alla panchina olandese subito dopo il gol del momentaneo 2-0.

Una vendetta successiva alle parole che Van Gaal pronuncia prima del match quando, ricordando la semifinale del mondiale in Brasile tra le due nazionali, ha testualmente detto che Messi in quella partita non ha toccato palla e non lo si può considerare un leader.

La Pulce ha incassato ma, quando a contare sono i fatti e non le parole, ha trovato il modo di rispedire al mittente le provocazioni.

Presentandosi davanti a Van Gaal ed esultandogli in faccia con quel modo tipico di Riquelme, Messi ha in un certo senso vendicato la memoria dell’ultimo 10 che, al Barcellona, ebbe un duro scontro proprio con Van Gaal quando all’epoca sedeva sulla panchina blaugrana.

Messi, il capitano del popolo

Come definire il calcio espresso dall’Argentina in Qatar? Due sillabe: Messi. Sempre lui.

La storia del calcio argentino, in questo nuovo secolo, ha girato sempre al ritmo che il 10 ha voluto imporre, sia nel bene che nel male.
Sempre protagonista del cammino albiceleste e pronto a cambiare il corso degli eventi.

Nel suo percorso sportivo Messi è stato spesso accusato di essere scomparso nei momenti importanti.

Soprattutto in patria, gli hanno sempre rinfacciato di vincere tutto a livello di club, ma di non avere la personalità tale da farsi carico invece della seleccion.

Un po’ tutti, anche lui stesso, dopo il mondiale del 2018 ci eravamo un po’ rassegnati ad accettare questa etichetta. In questa Coppa del Mondo è stato il miglior calciatore argentino e gran parte del merito per cui l’Argentina è in finale è grazie a lui.

Dobbiamo essere più realistici e riconoscere che è uno dei migliori calciatori della storia.

E’ stato il miglior giocatore del Mondiale ed è curioso ricordare che France Football, solo pochi mesi prima del torneo, ha considerato Leo fuori dai 30 migliori giocatori del Mondo…

La partita contro la Croazia è a senso unico e regala all’Argentina la seconda finale nelle ultime 3 edizioni del Mondiale. Per Messi è la rivincita personale contro i suoi fantasmi e contro i suoi detrattori.

Quando Lionel Messi, ancora bambino, giocava nella scuola del Newell’s riceveva un biscotto al cioccolato per ogni gol che segnava. Falso, i biscotti erano al caramello e si trattava dei tipici alfajores.

Ghiotto di questi biscotti, Messi comincia a mettere dentro 4 gol a partita. Ma se segnava di testa allora il premio erano due alfajores e ogni volta che lo faceva mostrava il segno della V con le dita in segno di vittoria.

Appena finita la partita, andava al buffet a ricevere il premio, assicurandosi che ce ne fossero abbastanza per tutti i suoi compagni.

Distribuiva un alfajor per ognuno, a volte lui rimaneva senza il suo. Il tecnico vedendo questo gesto, lo chiamava e gliene dava uno in più, “come premio dell’altruismo verso i suoi compagni”.

Nel 2005, Messi ha 17 anni e gioca il suo primo torneo internazionale con la selezione under 20 argentina. Non è più il bambino che vinceva alafajores, ma è un adolescente piuttosto esuberante con il pallone quanto timido nella vita fuori dal campo.

Ai pochi giornalisti argentini che seguivano quel torneo giovanile in Colombia era stato promesso che avrebbero ricevuto un premio, nel caso fossero riusciti a tirare fuori una parola a Lionel, visto che ancora, in patria, non ne conoscevano nemmeno la voce.

Alla fine alcuni di loro, ricordando questa storia, gli fecero arrivare in Hotel degli alfajores, così Leo tornò a sentirsi nuovamente il bambino di Rosario e cominciò a parlare con i giornalisti argentini entrando di fatto per la prima volta in connessione con il Paese da cui era andato via da bambino.

In Qatar, molto tempo dopo, ha ottenuto il riconoscimento massimo della sua terra. Non è più il segreto custodito del suo talento e finalmente è diventato un giocatore del popolo. Messi in una cosa ha sicuramente raggiunto Maradona: diventare parte della vita degli argentini.

Lui che è diventato il sole di quella bandiera albiceleste e facendo in modo che nel 2022 il mondo sia diventato un posto più giusto per il suo Paese.

ESSERE FELICE ERA QUESTO

Il finale non è una partita. Il vero finale del Mondiale è la felicità che Francia-Argentina ha generato.

Questo formicaio gigante chiamato Buenos Aires, lontano 13.000 chilometri dalla terra dei turbanti e dei cammelli, si è scoperto pronto a urlare, ridere, piangere, gioire e fare un pellegrinaggio all’obelisco.

Una città avvolta da nuvole bianche e cielo azzurro proprio come il colore della bandiera e della nazione.

Nei giorni che consacrano la Scaloneta nella storia del calcio mondiale, qui sono spuntati nuovi murales che ritraggono Messi da un lato e Maradona dall’altro, riducendo la Patria all’icona del piede mancino dei due geni: un piede che dribbla i dispiaceri e le crisi economiche di un popolo ciclicamente povero e felice.

La felicità si converte in scene di esplicito nazionalismo, per le strade ormai colme di dettagli dal colore albiceleste e, dove anche i cani sono vestiti con la camiseta numero 10 e la scritta MESSI sotto quel numero…

Jorge Luis Borges, massima espressione della letteratura argentina del secolo scorso, è morto prima della nascita di Lionel Messi. Non gli piaceva il calcio e guardava con sospetto ai nazionalismi.

Tuttavia, nel racconto Ulrikke uscito nel 1975 (quindi ancor prima che il Paese scopra il primo bagno di folla sportivo con il mondiale ’78), l’autore descriveva questo contesto argentino intorno all’appartenenza nazionale.

Nella storia, al protagonista viene chiesto cosa significa nazionalità. “Non lo so”, risponde. “Dico che è un atto di fede”.

La felicità del momento in cui l’Argentina diventa per la terza volta campione del mondo, da italiano e appassionato la ricordo per sempre così:

Il sorriso di Messi.
Le mani del Dibu.
La carezza di Dybala in un calcio di rigore.
La resistenza di Paredes.
I polmoni di De Paul.
I gol di Julian Alvarez.
Lo sforzo di Lautaro.
L’impresa di Pezzella che ancora non ci crede di essere campione del mondo.
Le strategie, le parole e la fede di Scaloni.
Il cartellino giallo a Walter Samuel, anche se non gioca più.

Non ho mai saputo come definire la felicità, anzi ho sempre pensato che fosse una filosofia complessa da descrivere.

Ma oggi più che mai assomiglia ad un uomo: un tizio di nome Josè Luis Butera, ex arbitro argentino, che nella sua vita ha visto tutte le tre volte in cui l’Argentina è finita in cima al Mondo: 1978, 1986, 2022.

Dedicato ai muchachos che mi ispirano senza che loro se ne rendano conto.

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